In occasione degli europei di calcio, la figura del giornalista sportivo è presente nei nostri teleschermi ancora di più di quella del calciatore. E’ possibile identificare la figura del giornalista sportivo in senso generico, perché gli atteggiamenti dei singoli soggetti, che in questi giorni presidiano i palinsesti, sono assimilabili ad un complesso di comportamenti comuni.
E’ noto che esistono due tipi di calcio: il calcio giocato e il calcio parlato. Il calcio parlato è stato battezzato dai suoi eminenti attori, ovvero dai giornalisti sportivi. Tra i più famosi c’è Aldo Biscardi, autore di indimenticabili frasi nel suo celebre Processo come “non parlate tutti assieme, sennò non si capisce niente, non più di 2 o 3 alla volta!”. Biscardi, come altri, hanno tuttavia il merito di presentarsi al pubblico con ironia. Lasciano intendere di non prendersi sul serio, e ci accompagnano in momenti di puro svago e sano vuoto mentale, di cui tutti abbiamo bisogno.
Ci sono altri giornalisti che invece appaiono molto seri e non giocano sul proprio personaggio. Questi sono i veri giornalisti sportivi, i veri professionisti, oggetto di questo post.
I giornalisti sportivi in occasione delle grandi manifestazioni danno il meglio di sè. Si riuniscono in lunghe trasmissioni pre e post partita e sciorinano verità con una sicurezza che rasserena gli animi di chi li ascolta. In un mondo così incerto, ci sono loro a illuminare almeno una via. In realtà le loro sicurezze sono fermissime nel post-partita, un pò meno nel prepartita. Vediamo il loro comportamento nei due casi.
Il prepartita.
Un primo argomento di discussione è il modulo che l’allenatore dovrebbe adottare. Nel prepartita ognuno dice la sua, con opportuna cautela, però. Il modulo non va bene, quasi mai. Però si aspetta di vedere l’esito del match, perché dopotutto è il mister ad avere i giocatori tutti i giorni in allenamento.
In questa fase l’allenatore, con le dovute riserve è un abile professionista e merita fiducia.
Nel prepartita, inoltre, si azzardano i pronostici, con estrema cautela. Sbagliare un risultato sembra potere incidere negativamente sul curriculum. L’impressione che il giornalista dà al telespettatore è che uno scarto di qualche gol tra la previsione e il risultato finale possa esporlo al giudizio di incompetenza, con conseguente carriera stroncata.
Il postpartita.
Il giornalista è persona pragmatica. Prima di tutto il risultato. Se la partita finisce 1-0, grazie a un autogol di spalla dell’avversario che era inciampato su se stesso, allora l’allenatore della nostra squadra ha saputo leggere bene la partita. Egli ha infatti predisposto la squadra in modo da pressare psicologicamente l’avversario al punto da indurlo a commettere l’errore fatale. Se la partita finisce con risultato sfavorevole, l’allenatore è un incompetente. Se la squadra ha giocato bene, e preso 3 pali questo poco importa. L’allenatore ha sbagliato tutto. Le convocazioni, l’approccio fisico, psicologico, la comunicazione, tutto.
Nel postpartita ci sono anche la moviola e la chicca finale: le pagelle. In pratica arriva uno che da i numeri e mette 8 all’attaccante che fa gol, e 4 a quello che ha preso tre pali, e quindi poco concreto.
Questo spettacolo è solo un gioco, ma a volte i giornalisti sembra che se lo dimentichino, con i loro toni seri e i visi tirati. Cari giornalisti, prendete esempio da Tiziano Crudeli, Elio Corno e aAldo Biscardi. Il vostro non è un lavoro strategico per la nazione, deve rimanere un divertimento. Usate dunque toni ironici, prendetevi un pò in giro e date i voti anche a voi stessi.